Mio nonno fu macellaio, mio padre fu macellaio, io fui un giovane macellaio all’Accademia di Belle Arti di Venezia.
Lavoravo in una piccola stanza, quasi il vestibolo dell’aula Vedova. Da lì, guardavo il lavoro dei miei compagni e mi sentivo nel raffreddatore del Grande Vetro di Duchamp. Facevo parte del tutto senza essere né di qua né di là.
La mia testa faceva capolino per osservare con distacco ciò che scorreva quotidianamente nel laboratorio.
Avevo già deciso di non dipingere più e stavo maturando possibilità diverse per potermi esprimere artisticamente. Mi avvicinavo cautamente ma con decisione alle esperienze comportamentali senza però avere ben chiaro in mente come formalizzare le mie idee. Pensavo che, così come i miei colleghi di studio appendevano ed esponevano le proprie tele, io potevo e dovevo esporre le mie carni.
Un giorno, rovistando tra le cose di famiglia, trovai una risma di carta da macellaio. Era carta da “copertina”, quella che copriva il foglio oleoso a contatto diretto con la carne. I fogli erano grandi, di color verde acqua e azzurro avio, con impresso a stampa “Macelleria MORBIN GIOVANNI. Carni di prima qualità”. Ero io!!!
Poco tempo prima, guardando l’opera di Rembrant, fui colpito dal suo bue squartato. Ciò che attrasse la mia attenzione non fu tanto la bestia macellata quanto la testa di una figura che dallo sfondo sbirciava nella stanza. Ero ancora io!!!…che dal vestibolo guardavo gli altri dipingere. Decisi in quel momento che la mia prima azione veneziana avrebbe dovuto contenere gli elementi appena descritti sottolineando compresenza e distacco dal corpo della pittura.
a G. Morbin Sr. e Rembrant