Ogni domenica sera partivo da casa, scendere la vallata, attraversare da Ovest verso Est la pianura e infine raggiungere Venezia. Questo spostamento settimanalmente di andata e ritorno fu di fondamentale ispirazione per Dagli Appennini alle onde.
Giovane studente, già …giovane macellaio all’Accademia di Belle Arti, per la prima volta uscivo di casa per andare a vivere e studiare in una grande città. Nei molti viaggi sostenuti, guardavo come una pellicola cinematografica, la striscia di paesaggio che scorreva lunga davanti ai miei occhi fino a Venezia. Mi vedevo come un’aquila reale che volava dalle altezze dei monti verso il mare e atterrava finalmente a Campo San Maurizio. Un animale dalla vista acuta, la stessa che mi pervadeva nel guardare quella striscia di paesaggio lunga quanto il mio viaggio.
Conservai preziosamente tutti i biglietti di andata e ritorno dei miei spostamenti e unendoli l’uno all’altro con un filo di cotone ottenni una lunga striscia, la forma e l’idea del mio percorso pendolare.
In posizione eretta e difronte al pubblico. Indosso un grezzo diadema di filo di ferro e porto incollata alla fronte la figurina adesiva di un’aquila. La striscia dei biglietti, fissata al diadema sopra la fronte, scende volante a terra come una mezza parabola a direttrice orizzontale tuffandosi nella ciotola piena d’acqua ad alcuni metri da me e contenente la veduta di Venezia a volo d’uccello di Jacopo de’ Barbari.
Un’azione di vestimento e postura della durata di quindici minuti circa.
Come spesso accadeva per le azioni di quel periodo, non esiste documentazione fotografica o video del progetto. Rimangono solo un paio di schizzi, l’adesivo dell’aquila e un’immagine dello studio/macelleria in cui si intravede la striscia dei biglietti usati nella performance.