Lo studio in cui lavoravo era di fatto la macelleria del nonno paterno e poi di mio padre e quel luogo aveva visto e ospitato innumerevoli corpi smembrati, ridotti a brandelli e che impedivano così ogni ricostruzione dell’immagine corporea.
L’esperienza di quei luoghi aveva trasferito in me un’idea astratta del concetto di corpo.
Volevo creare corpi pittorico-plastici che mi permettessero di superare il puro confronto con la pittura. Cercavo di trasformare la pelle pittorica nell’epidermide di un corpo più complesso.
Usando la crema da scarpe, trasformavo la carta in pelle proteggendola dagli agenti atmosferici.
Quando espongo l’opera ripasso il lucido sulle superfici in modo da mantenerle morbide e ben curate.